martedì 4 giugno 2013

Le previsioni di Draghi sono rivolte ai mercati

Le parole di Mario Draghi da Shangai sono un ottimo tranquillante per mercati a rischio fermento (vedi il calo della Cina e le difficoltà della borsa giapponese) ma da un punto di vista logico sono completamente prive di senso.
La ripresa da lui indicata a partire dalla seconda metà del 2013 sarà favorita dalla politica della BCE (basso costo del denaro con un altro taglio dei tassi d’interesse) e dalle esportazioni; fino ad oggi la prima iniziativa è risultata di debole efficacia in quanto il passaggio dal basso tasso all’allentamento delle restrizioni creditizie da parte degli istituti è stato debole e in alcuni casi inesistente, a causa delle sofferenze che anche in Italia cominciano ad essere un’ incognita.
La politica dell’export, invece, è sufficiente sotto l’aspetto del numero ma molto meno opportuna dal punto di vista pratico, perché agevola unicamente le economie forti che si basano su questo sistema, riducendo ancora di più la domanda interna che viene così ulteriormente soffocata (mantra della Germania).
Caso rilevante è la Francia, dove la bilancia dei pagamenti si è spostata nel giro di dieci anni da un discreto attivo a un deficit sopra il 2% del Pil; perché? Perché la Francia sta diventando la nuova frontiera tedesca, dopo aver inondato di credito e prodotti i paesi dell’Europa meridionale, aggravandone la crisi (vedi Spagna, Portogallo, Grecia), ora l’economia e l’industria tedesca si stanno spostando verso la propria frontiera; a supporto di queste affermazioni ecco il grafico che mostra l’andamento della bilancia dei pagamenti dal 2007 al 2013 (stimato):


Tutto questo sbilanciamento, come già accaduto nei “PIIGS”, racchiude un aumento del debito privato che è il vero motore della crisi economica; ne è riprova il fatto che il debito pubblico è molto aumentato negli ultimi due anni e il rapporto debito/Pil non è tanto lontano da quello italiano.

I francesi ora sperimentano la concezione tedesca di “euro” e “cooperazione” fra i vari paesi come i trattati (Lisbona) richiedono e che la Germania non ha mai voluto applicare, per ovvi motivi.
Ma il padrone dell’Europa non sta così bene, con il Pil inferiore dello 0,3% su base annua nel primo trimestre 2013 dopo aver registrato una flessione dello 0,7% nell’ultimo trimestre 2012 (sempre su base annua). Anche i paesi periferici, come Finlandia e Olanda, registrano andamenti in ribasso; a tutto questo si sommano i problemi cronici e ben noti come quello di casa nostra, di Spagna, Portogallo e Slovenia oltre che l’aggravarsi della situazione greca, con emissari della Troika in arrivo ad Atene per verificare il taglio dei dipendenti pubblici richiesto dalle organizzazioni che hanno ben vigilato sul compiersi di questa catastrofe.

A fronte di tutto questo, dove trova Draghi la fiducia per parlare di ripresa dalla seconda metà di quest’anno? Quali sono i parametri che lo portano a tale previsione? Sembra quasi commensurabile all’ottimismo (a tratti entusiasmo o “euriasmo” senza senso) dei nostri politici all’uscita dell’Italia dalla procedura per deficit eccessivo che sbloccherebbe (a loro dire) molti denari per le decine di riforme promesse e per tappare i buchi creati dalle tasse rimosse per ragioni elettorali (quali e quanti soldi non è dato sapere, soprattutto dopo aver inserito il pareggio di bilancio in Costituzione).

Il quotidiano “Libero” oggi in edicola apre in prima pagina con l’introduzione ad un’inchiesta sull’abbandono dell’euro e i possibili scenari, dimostrando che anche il “mainstream” di fronte alla crescente protesta, piano piano comincia a indietreggiare.

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