giovedì 20 giugno 2013

Da chi vogliamo farci colonizzare?

La terribile crisi che imperversa in Italia morde le caviglie anche di chi era considerato un imprenditore “virtuoso”, non nel senso del rigore ma dei suoi risultati economici.

Le aziende cedono il passo a un sistema banditesco messo in atto attraverso la creazione di un’area non ottimale ma funzionale al bisogno di pochi a scapito di molti. Il G8 di questi giorni ha confermato che la visione politica di una seria riflessione sui problemi europei non c’è, la possibilità che qualcosa cambi è ancora e solamente legata alla velocità con cui paesi più valenti (o nazionalisti) del nostro precipiteranno verso il baratro, fino al rischio di tensioni sociali incontrollabili.

E’ bene porre l’accento sul fatto che l’eventualità di un intervento massiccio della FED sui mercati dei titoli di Stato europei manifesta le vere intenzioni, che si sposano con la possibilità di allentare i vincoli sugli scambi commerciali fra i due continenti.
Se da un lato questa notizia può essere accolta con interesse dai paesi del Sud (dove, molto probabilmente, avverrebbe il maggior numero di acquisiti dettati dai rendimenti più elevati) dall’altro ci si accorge che l’incognita di rimanere ancora di più intrappolati in questo euro si renda concreto.

E’ naturale che gli USA, a fronte di un massiccio acquisto di debito, vogliano in cambio determinate garanzie sulla tenuta della moneta unica, esattamente come la Germania ha fatto quando ha spinto per la rigidità del cambio; un pericolo svalutazione (come quello ipotizzabile dell’Italia intorno al 20-25% in caso di eurexit) non può essere contemplato. A questo si aggiunge una considerazione puramente economica, da chi conviene farsi “colonizzare”, dagli Stati Uniti o dalla Germania? 

L’esperienza con suddetto “partner” europeo l’abbiamo già saggiata e ancora oggi ne paghiamo le conseguenze, ma quella con gli USA potrebbe essere anche peggiore; chi parla di “piano Marshall” del terzo millennio non sa evidentemente cosa dice, qui non si tratta di un aiuto post-bellico, non c’è da ricostruire un continente dal punto di vista infrastrutturale ma da un punto di vista economico e nazionale. Gli Stati devono essere aiutati nel completare un processo, che appare già in movimento, di riacquisizione dei propri diritti sanciti dalle rispettive Costituzioni, devono riprendersi la sovranità monetaria e ritornare ad adattare la propria economia disegnandola in base al proprio tessuto produttivo.  

Nel caso in cui i debitori (quindi i padroni del nostro destino) diventassero gli Stati Uniti, la pressione per la liberalizzazione degli scambi commerciali diventerebbe incessante. La potenza di fuoco sui mercati sarebbe molto più grande di quella del Giappone, dove gli effetti della prima parte dell’Abenomics stanno dando segnali di rallentamento (fisiologico e forse provocato); dobbiamo davvero continuare ad alimentare la convinzione che l’unica forma di finanziamento è quella del collocamento sui mercati dei nostri titoli o forse varrebbe la pena ricominciare la stesura di un pensiero economico che metta in discussione l’autonomia delle Banche centrali dei singoli Stati?

Vogliamo davvero portare in territorio negativo i tassi sui depositi in BCE per ottenere un nuovo incremento di debito nei paesi dell’Europa meridionale (i capitali non sarebbero immobilizzati ma reinvestiti nell’acquisto di titoli di Stato ad alto rendimento, non certo utilizzati per finanziare le banche né tantomeno le attività produttive)?

2 commenti:

  1. La BCE è la macchina da guerra della Germania... non per niente si trova a Francoforte

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  2. Oltre ai tassi negativi bisogna obbligare le banche a spingere i capitali verso l'economia reale

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