Il rapporto deficit/pil obbligato (3% al massimo) strozza ogni possibile politica d’investimenti e di espansione.
Ma c’è dell’altro.
A
fronte di una produzione in costante calo (-5,2% a marzo su base annua) e una
disoccupazione in aumento lo Stato, per far fronte ai sostegni e ai sussidi
sociali, deve spendere soldi che non potrebbe corrispondere, pena un possibile
riavvio della procedura d’infrazione numero due, dopo che la prima sarà chiusa
a fine maggio.
Uno Stato privo di leve economiche costretto a rispettare
accordi troppo assoggettanti e tagliati a misura di altre economie (e altre
monete) perde la sua possibilità di consolidare l’economia sua e dei suoi
cittadini, esponendosi al vincolo dei mercati e al debito estero. La politica
di austerità impone sacrifici alle classi medie, ovviamente, alle quali è
richiesto più di quello che dovrebbero immettere in termini d’imposte,
strozzando la domanda e portando con sé una scia di fallimenti e di occupazione
persa; il Governo, sottoposto al vincolo esterno e alla “compattezza fiscale”,
reagisce garantendo il contenimento della propria spesa per continuare a essere
parte di un progetto fallimentare (l’euro, inteso come moneta unica) destinato
allo sgretolamento.
L’indirizzo che questo tipo di politica ha preso è chiaro ed
è orientato a un percorso di “americanizzazione” dello Stato sociale, togliendo
progressivamente risorse agli istituti fondamentali della nostra società
(sanità, istruzione, cultura); la sottrazione del gettito fiscale, conseguenza
della riduzione dell’occupazione e relativa tassazione, deve essere bilanciata
con l’accetta imposta ai servizi che sono stati la base della riformazione del
nostro paese nel dopoguerra.
Lo Stato ha sempre corrisposto (e tuttora continua a farlo)
per questi servizi, la sanità ad esempio presenta un grafico in crescita,
seppur modesta, anno dopo anno:
L’orientamento sarà sempre di più quello della
privatizzazione di queste prestazioni fondamentali, spingendo la classe media a
sofferenze sempre più marcate mentre la politica tenterà di dimostrare la
propria forza sulla pelle dei più deboli, sbandierando una supposta efficienza
e riduzione dei costi; il contributo alle scuole private, presente in molteplici
manovre finanziare degli anni passati, è un altro segnale di questa rotta.
La direzione imposta dall’Europa e dall’euro ha trovato e
continua a trovare terreno fertile presso la nostra classe dirigente,
soprattutto in quella parte (la cosiddetta “sinistra”) che dovrebbe avere a
cuore il destino dei deboli e invece continua a proclamare il progetto europeo
come suo vanto senza lasciar spazio alcuno al dibattito, come viceversa accade
in molti altri paesi della zona euro (come ad esempio in Germania dove, a
sentir loro, sono tutti soddisfatti della condizione in cui si trovano).
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