mercoledì 8 maggio 2013

Il pareggio di bilancio

Il tema che voglio esaminare oggi è intrinsecamente legato all’attualità politica italiana, alla ricerca di un riequilibrio al taglio dell’imposta sugli immobili, l’IMU, promesso dal nuovo esecutivo. Di questo abbiamo già parlato nel post precedente, oggi analizzerò il concetto di pareggio di bilancio. Questo concetto, molto criticabile, è stato perfino inserito nella Costituzione italiana.

Lo sapevate?

Nell’aprile dello scorso anno il governo Monti ha deciso di modificare l’articolo 81 assoggettando il nostro paese per il futuro a non poter più agire in termini di deficit (anche in caso di ritorno alla moneta sovrana, attenzione).

Il testo recita: ”Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. 

Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale.”

Oltre a questo il passato governo è interceduto anche in materia di enti locali, costringendo anch’essi al rispetto del pareggio di bilancio con il risultato di escluderne ogni possibilità di debito per finanziare la propria gestione.
In sostanza si è deciso, sulle rigide convinzioni economiche europee (tedesche), di impedire al nostro Stato di spendere a deficit per dar stimolo alla domanda e contribuire a una (seppur ridottissima) ripresa. La conseguenza è manifesta anche a persone non avvezze alle questioni economiche; il nostro paese ha trovato un esecutore che, con la complicità dei partiti che ora fanno finta di opporsi all’austerity, ha deturpato il testo sovrano del nostro ordinamento attraverso la revisione di una sua parte che si rivelerà dannoso e potenzialmente letale per l’Italia.

Perché?

Perché la spesa a deficit è basilare in periodi recessivi, aiuta a ridare slancio all’economia, mette in gioco il meccanismo propulsivo dello Stato che aiuta a far convergere domanda e crescita. Il meccanismo, trasformato in legge, appare sempre più come quello della coperta, costretta dalle percentuali rigorose a lasciare sempre spoglia una parte dei concorrenti a questo gioco (di solito sempre i più deboli).
Da una parte lo Stato, costretto a rifinanziarsi attraverso l’emissione di titoli di Stato, deve metter in conto la misura d’interessi che su questi dovrà pagare, oltre alle spese ordinarie; dall’altra il cittadino che si vede privato sempre di più di servizi sostanziali (pensiamo solo ai tagli alla sanità, alla cultura e all’istruzione).

Sappiamo che la crisi non si è generata per il debito pubblico ma a causa della crescita di quello privato. La spesa pubblica italiana, in percentuale del Pil, è sempre stata sotto controllo, in media con quella degli altri paesi europei:


ovviamente tendente al rialzo dal 2008, anno dello shock Lehman, a causa della maggior incidenza della spesa pubblica e del diminuire del prodotto interno. A fronte di un debito pubblico molto alto, si può vedere in questo grafico:


la produzione italiana è sempre stata in grado di garantirne il sostanziale controllo (linea Deficit/Pil):


Le politiche economiche in atto nell’euro-zona sono distruttive, nel breve-medio periodo, e insufficienti, portate a considerare come unico impulso quello dell’abbassamento dei tassi d’interesse che, oltre a trasmettersi in un periodo di diversi mesi, porta con sé dubbi in merito alla sua reale utilità.
Il trasferimento dalle banche (in sofferenza) ai privati (ancora più in sofferenza) non avviene nella misura che la BCE si aspetterebbe e le politiche in tal senso sono demandate ai singoli stati che si trovano davanti al seguente scenario: da una parte sono state private della possibilità di agire sul piano di un rifinanziamento alternativo, delegando questo tipo di leva al controllo della moneta unica, ma dall’altra devono far si che i propri bilanci siano a pari e devono sostenere il credito tramite non si bene quali operazioni.

E’ evidente che questo tipo di politica, quella del taglio dei tassi, non solo non funziona ma non aiuta nemmeno in prospettiva, quindi per riprendere il tema iniziale di questo scritto, come pensa il Governo italiano (ma anche quello spagnolo, portoghese, greco, etc.) di poter orientare la propria politica in senso espansivo?

Il moltiplicatore ci insegna che l’equazione “togliere tassa – imporre tassa = 0” non è vera, non funziona e non funzionerà mai, i paesi coinvolti in questa lunga corsa al disastro sono costretti a questuare rinvii delle scadenze dei loro impegni che finanzieranno con altri debiti e poi con altri debiti all’infinito alla ricerca di quel pareggio di bilancio che noi italiani (più bravi e furbi) abbiamo infilato nella Costituzione per compiere i “compiti a casa”.

Nessun commento:

Posta un commento